Un’altra bella storia di workers buyout, di una storica cartiera la Pirinoli di Roccavione (CN), che fallita viene comprata dagli ex lavoratori e fatta ripartire a nuova vita e futuro. Anche questo caso è l’esempio che anche in Italia si può passare concretamente dalle parole ai fatti, salvare realtà esistenti, fare imprenditorialità sociale e creare nuovi posti di lavoro. Una valida soluzione per combattere efficacemente la crisi del lavoro e dell’occupazione e un arricchimento culturale, sociale e umano per i lavoratori. – Rino Lattuada
La Cartiera Pirinoli fu fondata nel 1872 da Gaspare Pirinoli, capostipite della omonima famiglia di cartai provenienti da Intra, sul lago Maggiore. Insieme ai figli egli acquistò in Roccavione (valle Vermenagna nel Cuneese) un salto d’acqua proveniente dal vicino canale Naviglio, per sfruttarne l’energia idraulica e costruì lo stabilimento cartario, iniziando la produzione di carta da imballo nel 1883. Una delle specialità era la carta da “bigat”, usata nella coltivazione del baco da seta, industria allora molto fiorente nella zona.
Nel 1889 all’esposizione universale di Parigi i fratelli Pirinoli comprarono la prima macchina continua per carta. Si trattava di una Bryan Donkin’s Fourdriner machine. Questa nuova rivoluzionaria macchina produceva carta in rotoli. Precedentemente, la fabbricazione della carta avveniva per fogli con un processo lento e laborioso.
Nel 1937 la società fu acquistata dalla famiglia Eva e cominciò a produrre cartoncino per astucci stampati (ad esempio, per confezionare biscotti e panettoni), divenendo una delle principali realtà del settore prima a livello nazionale e poi europeo. Furono installate altre due linee continue tecnologicamente più avanzate e di maggiore capacità produttiva nel 1962 e nel 1994.
La Cartiera Pirinoli tagliò il traguardo dell’anno 2000 inserendosi tra i primi dieci produttori continentali di cartoncino patinato per astucci da fibra riciclata, con una produzione di oltre 100.000 tonnellate l’anno. Nel 2006 il complesso aziendale fu rilevato da Pkarton S.p.A., società costituita ad hoc da imprenditori ed esperti del settore.
In piena crisi, nel 2012 l’azienda cessò l’attività e fallì. I lavoratori però non si persero d’animo e decisero: «La compriamo noi». Lo stabilimento venne messo all’asta, ed con una operazione di workers buyout l’azienda rinacque. Gli ex dipendenti, settanta su 150, formarono una cooperativa, come presidente scelsero l’ex direttore, investirono i risparmi di una vita per pagare la loro quota degli 1,8 milioni a base d’asta e accettarono di guadagnare il 20 per cento in meno di prima. «E dire che un tempo dopo aver timbrato il cartellino non ci pensavamo più – dicono -. Ora ci fermiamo anche di notte per controllare che i macchinari funzionino».
Il risultato è sorprendente: la fabbrica ha chiuso il 2015 con 6 milioni di euro di fatturato, in linea con la «scommessa» iniziale. L’obiettivo dei soci-proprietari, che sono persino riusciti ad assumere otto operai, è di raggiungere 32 milioni nel 2016. Nessun dubbio sulla scelta del presidente: l’ex direttore Silvano Carletto. Lo stesso che invece di accettare altri incarichi è rimasto lì con loro, nella valle. «Il nostro è un caso unico in Italia, in uno dei settori fra i più colpiti dalla crisi e dove i principali concorrenti sono multinazionali straniere che possono avvalersi di manodopera ed energia a costi molto più bassi – dice Carletto -. Da subito ho creduto che tutti insieme potessimo riuscire a risollevare le sorti di un’azienda che otteneva risultati eccellenti e dava lavoro a molte famiglie della valle».
Nel cortile della Cooperativa Pirinoli, dove vengono ammassate le scorte di materia prima, il vicepresidente Ferdinando Tavella racconta: «I primi mesi non sono stati facili e ancora oggi sentiamo il peso di essere responsabili di noi stessi. Ma gennaio è stato un mese decisivo: abbiamo riallacciato rapporti con i vecchi clienti e ne abbiamo di nuovi, soprattutto dall’estero».
Accanto ai mucchi di carta – tutta riciclata – c’è l’imbocco dell’impianto che trita, pulisce e filtra la polpa, trasformandola in enormi rotoli di cartoncino grigio. Ieri, a controllare che tutto filasse liscio, c’era Alberto Bertaina, uno dei veterani dell’azienda. Alla Pirinoli da più di 25 anni, Bertaina ha vissuto tutta la parabola della cartiera, fino ai tre anni di stop. «Siamo stati bravi: abbiamo costruito qualcosa di bello e importante – dice -. Adesso dobbiamo continuare a lottare: una cartiera è una macchina enorme e costosissima».
Gli ex dipendenti, soci alla pari, dicono la stessa cosa: «Siamo molto più motivati». «Ora, anche con il cambio turno, se qualcosa non va si rimane ad aiutare – spiega Marco Ghibaudo -. O banalmente pensiamo a spegnere la luce una volta chiuso l’ufficio: l’energia la paghiamo tutti».
Nella parte più antica della fabbrica, dove a inizio ‘900 fu attivata la prima linea di produzione automatica, oggi c’è la centrale termica, il cuore della cartiera. In un gabbiotto stipato di contatori e monitor Fabrizio Galliano, ex Rsu della Pirinoli, spiega che dopo la fondazione della cooperativa e l’acquisto della fabbrica all’asta, non è ancora il momento di sentirsi tranquilli. «Forse non lo sarà mai – dice -, però c’è la consapevolezza che quello che prima era un sogno ora è realtà». Paola Bramardi, che da dipendente si occupava solo di contabilità e adesso anche della segreteria: «Il passaggio a cooperativa è stato un percorso oneroso. Ma, dopo la prima fase d’incertezza, banche e altri finanziatori hanno creduto in noi. È la dimostrazione che anche in Italia si può passare dalle parole ai fatti».
Si ringrazia per le informazioni, la Cartiera Pirinoli S.C., il quotidiano La Stampa e il Tgr RAI del Piemonte.
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