I voucher sono buoni lavoro nati nel 2008 per regolarizzare lavori occasionali e accessori di pensionati e studenti, in agricoltura, per baby sitter, artigiani pensionati, ecc. Ma dal 2012 sono stati estesi a tutti i settori e vengono utilizzati nella ristorazione, nel commercio, nel turismo e anche nell’edilizia e nell’industria. Nel 2008 sono stati emessi circa 25 mila voucher, nel 2014 sono arrivati a 79 milioni e nel 2015 ne sono stati emessi circa 115 milioni. Coinvolgono circa un milione e mezzo di lavoratori e sono usati anche da qualche amministrazione comunale. Il presidente dell’INPS Tito Boeri ha lanciato l’allarme, ma il dubbio che non siano utilizzati solo per lavori occasionali non esiste quasi più. Ormai in tantissimi casi sono le uniche prestazioni che svolge il lavoratore, soprattutto nel campo della manovalanza. Che stiano sostituendo i contratti “part-time” e “a chiamata” è ormai un dato di fatto, con il risultato di dare una copertura al lavoro nero, visto che il limite complessivo della retribuzione per ogni lavoratore è di 7.000 euro in un anno. Un effetto contrario alle intenzioni del legislatore, ma purtroppo di triste realtà. Di seguito l’interessante articolo apparso su Il Manifesto del 23 marzo 2016. – Diario Legnanese
La terza generazione del precariato: i voucher
Quinto stato. Un proletariato intermittente composto da un milione e 392 mila persone. Hanno guadagnato in media 633 euro nel 2015. Il governo intende renderli “tracciabili”. Per Cgil e Uil è un rimedio inutile: “Il voucher maschera l’elusione, è una forma di precariato estremo e povero”. Storia della nuda vita messa al lavoro
Roberto Ciccarelli ROMA
I «voucheristi» sono la terza generazione del precariato. Un milione e 392 mila persone che nel 2015 hanno lavorato con i buoni per il lavoro accessorio. Hanno guadagnato in media 633 euro in un anno. Solo lo 0,4%, pari a circa 5 mila persone, ha guadagnato oltre i 5 mila euro. Le donne rappresentano il 52% del nuovo proletariato intermittente. I numeri assoluti sono impressionanti e rivelano il lato oscuro della propaganda renziana sui numeri del Jobs Act: nel 2015 sono stati venduti 114 milioni 921.574 mila voucher nel commercio, nei servizi e in «altre attività». Nel 2008, quando lavoravano solo al settore dell’agricoltura, i «voucheristi» erano 24.437.
Questo è il mondo del lavoro povero descritto da un rapporto del ministero del lavoro pubblicato ieri. Il testo dimostra il fallimento del tentativo di rintuzzare il boom dei voucher aumentando a 7 mila euro il compenso complessivom una norma introdotta dal governo nel giugno 2015. Il 64,8% dei prestatori ha riscosso meno di 500 euro di valore complessivo. Il 20% ha superato i mille euro. Dai dati Inps emerge che il 36,6% della platea aveva riscosso voucher anche nel 2014.
Voucheristi sono in maggioranza giovani. Il 31% dei prestatori del nuovo lavoro a scontrino hanno meno di 25 anni, guadagnano 554 euro all’anno, contro i 762 degli ultra-60enni (il 3,9% del totale). Il 40% dei lavoratori con i buoni lavorano esclusivamente con questa formula e accedono a una contribuzione previdenziale pari al 13 per cento. È chiaro che non avranno una pensione. Così come oggi non hanno nessuna tutela sociale. In Italia si può lavorare con un voucher anche fino a settant’anni. E lo si può fare per tutta la vita, guadagnando un reddito ben al di sotto della soglia di povertà.
I voucheristi sono la «nuda vita» del nuovo precariato che lavora in agricoltura, nei servizi e nel commercio. Nelle ultime settimane lo scandalo della loro «nuda vita» si è imposta con tale violenza da costringere persino il governo a cercare una parvenza di soluzione. Ieri il ministro del lavoro Poletti ha confermato – di nuovo – il progetto di correggere la tendenza con un decreto del Jobs Act. Vuole rendere «tracciabili» i buoni per il lavoro accessorio. Le imprese dovranno comunicare con un sms all’Inps il nome del lavoratore e la durata del rapporto per impedire di acquistare il voucher ed usarlo in casi di infortunio o per nascondere rapporti di lavoro dipendente a tutti gli effetti. Nel 2015 il 24% dei voucher venduti non sono stati «riscossi». Nel 2014 lo furono il 92%.
In un’auto-video-intervista postata ieri su facebook Poletti è ricorso a una delle metafore colorite con le quali cerca di testimoniare un impegno: «Stringeremo i bulloni per limitare o se ce la facciamo impedire le furbate delle imprese». Una simile «stretta» è inutile per la Cgil secondo la quale l’sms «non serve a contrastare gli illeciti, resteranno milioni di lavoratori in un’area grigia senza diritti, nuovi poveri sempre più precari».
«Il voucher – sostiene il segretario confederale Cgil Serena Sorrentino – maschera l’elusione, è una forma di precariato estremo e povero». Per Corso Italia il rimedio del governo non arresterà il blob dei voucher da 10 euro (7,50 ai lavoratori) che dilaga nei servizi e nel commercio. «In questo mondo grigio lavoro sommerso e grigio si sovrappongono – aggiunge Sorrentino – I voucher sono concorrenti del lavoro subordinato: il dato così basso sulla retribuzione fa sorgere il sospetto che coprano molto lavoro nero». Nella Carta dei diritti la Cgil chiede l’abolizione dei voucher e su questo si prepara al referendum abrogativo, insieme all’estensione del diritto del reintegro in caso di licenziamento illegittimo e a un altro sugli appalti.
Anche la Uil ha bocciato la «tracciabilità» escogitata da Poletti: «Misure che si riveleranno inutile – sostiene il segretario della Uila-Uil Stefano Mantegazza – Il governo deve riportare i voucher alla loro originaria funzione: pagare e fare emergere i piccoli lavori occasionali come il giardinaggio, le ripetizioni scolastiche o i servizi di baby sitter. Qui invece si sostituiscono con i ticket le buste paga dei contratti per pagare il lavoro dipendente». La «tracciabilità» è una «forma di ipocrisia inutile per smascherare un sistema che fa il gioco degli imprenditori disonesti». Per la Fai-Cisl quello del governo «è un passo nella giusta direzione. Vigileremo».
Il Manifesto 23 marzo 2016
Lascia un commento
Lasciaci il tuo parere!