Regia di Jodie Foster – con George Clooney, Julia Roberts, Jack O’Connel, Dominic West – durata: 98′ – origine: USA, 2016
Ancorato a solide tradizioni narrative hollywoodiane e costruito con innegabile senso dello spettacolo, il quarto film della Foster (tralasciando le serie televisive) compone ancora una volta un ritratto del giornalismo che va a sommarsi agli innumerevoli capitoli di una filmografia ormai sterminata, contribuendo così a consolidare un’immagine sociale particolarmente positiva della professione. Qui in teoria il protagonista – un Clooney piuttosto incline alla gigioneria – sarebbe invece un personaggio negativo ma è chiaro che se lo affidi a un bellone come il vecchio George, la tesi diventa poi un po’ difficile da sostenere. Oltretutto il suo ruolo di baldanzosa star televisiva che si trasforma in vittima impaurita e mogia, suscita immediatamente le nostre simpatie. In questo modo però – ed è forse uno dei limiti maggiori del film – rischiamo di trascurare alcuni elementi a cui invece dovremmo fare attenzione, se prendiamo sul serio l’ipotesi che si tratti – pur all’interno di un sistema comunque spettacolarizzato qual è il cinema made in USA –, di un film di denuncia. Mi riferisco ad esempio alle negoziazioni tra Clooney e il suo tele-sequestratore (“io do qualcosa a te, tu dai qualcosa a me”) in cui si afferma implicitamente che il sistema messo in piedi dall’iperfinanza globale ha come inevitabile conseguenza che la vita, l’esistenza di ciascuno di noi è stata fatta rientrare nell’ordine dei beni scambiabili, anziché essere, come dovrebbe, al di fuori di ogni valore misurabile. Restano alcune belle intuizioni di sceneggiatura, la migliore delle quali è probabilmente l’aver fatto indossare al povero Clooney un giubbotto imbottito di esplosivo per buona parte del film; giusta nemesi per chi dovrebbe agire sempre come se ne avesse un addosso, perché dovrebbe avere la consapevolezza che il suo modo di fare informazione può in ogni momento trasformarsi in qualcosa di esplosivo. D’altra parte, se ormai l’obiettivo del mondo dell’informazione (in particolare quella televisiva) pare non essere più quello di informare ma di mantenere l’audience in uno stato di perenne eccitazione, forse di questa consapevolezza ce n’è addirittura fin troppa.
Dario D’Incerti
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