di Nicoletta Bigatti – 22 aprile 2016
Quando mi è stato chiesto di scrivere queste note sulla vicenda della partecipazione della bambina autistica di Legnano alla gita scolastica, ho pensato che fosse importante prima di tutto definire le emozioni che il fatto ha suscitato in me. Non posso considerarmi – è bene dirlo subito – una spettatrice neutrale: sono piuttosto una “praticante” del problema autismo, come mamma e come volontaria di un’associazione (DIESIS Onlus di Milano) che opera ogni giorno in questo campo. Ebbene, se dovessi sintetizzare quello che ho provato leggendo i tanti (troppi?) articoli dedicati all’episodio, non potrei trovare altro termine che amarezza. Non tanto per la vicenda in sé, nel merito della quale non posso e non voglio entrare, ma quanto per aver dovuto constatare ancora una volta come l’informazione si scateni solo in queste occasioni: la disabilità discriminata indigna (per cinque minuti) e soprattutto fa vendere i giornali.
Mai che qualcuno si sogni di dedicare uno spazio adeguato al lavoro estenuante e oscuro che famiglie e operatori svolgono ogni giorno per creare una società minimamente accogliente e consapevole, mai che si approfitti di questi fatti eclatanti per fare approfondimenti, per conoscere ad esempio di più le mille sfaccettature che si celano dietro la definizione generica di autismo, mai che qualcuno di questi maestri dell’informazione provi a documentarsi su come questi bambini oggi in difficoltà per la gita scolastica saranno domani adulti privi di adeguati supporti e discriminati in modo ancora più subdolo, perché di autismo non si guarisce con la maggiore età, mentre quasi tutte le forme di sostegno specifico si esauriscono una volta raggiunti appunto i 18 anni.
Certo, rispetto a qualche decennio fa’ le conoscenze sono per fortuna cresciute: il bambino autistico frequenta la scuola dei nostri figli, quindi sempre più spesso capita di convivere con questa problematica. Ciò non significa però che il mondo dell’istruzione sia sempre preparato a tale convivenza. Non lo è prima di tutto per ragioni di normativa e di organizzazione scolastica: non è un mistero che frequentemente gli insegnanti di sostegno non hanno alcuna preparazione specifica, e si barcamenano fra poche nozioni apprese in fretta e la pratica maturata sul campo (col bambino o la bambina con Asperger o autismo costretti loro malgrado a fare da “palestra di addestramento”). Ma non lo è soprattutto perché molto spesso a mancare è un’educazione specifica alla diversità. Lo sappiamo bene: i nostri ragazzi crescono in una realtà in cui l’omologazione nelle scelte e nei comportamenti gioca un ruolo fondamentale, in cui il bambino o l’adolescente con una personalità in formazione è quasi costretto – pena l’isolamento – ad assimilarsi alle scelte dei compagni.
In un contesto simile è indubbio che qualsiasi modo di fare in qualche modo “diverso” o fuori dagli schemi fa paura e intimorisce. E’ l’esperienza che facciamo ogni giorno con i ragazzi Asperger che seguiamo con la nostra associazione: la loro “originalità”, pur se accompagnata da talenti e competenze spesso uniche, diviene motivo di esclusione, e ne segnerà il cammino di vita anche e soprattutto dopo il compimento del ciclo di studi, nella ricerca di un lavoro e dell’autonomia. Per tale motivo DIESIS sta per avviare un progetto con le scuole superiori di Milano: per fornire sia agli insegnanti che agli studenti (avvalendosi del contributo di esperti) informazioni aggiornate su autismo e Asperger, per capire quali siano le difficoltà incontrate da questi studenti “diversi” e possibilmente dare un contributo a risolverle. L’educazione e la conoscenza come strumenti di inclusione: non crediamo esistano vie più adeguate.
Prima di chiudere mi permetto ancora un’osservazione. Fra le tante cose lette in questi giorni una mi ha particolarmente colpito: qualcuno ha scritto su un social che “spesso il maggiore problema dei ragazzi con problemi sono i loro genitori”. Da madre di un ragazzo Asperger posso dire che sì, di fronte ad una società che quasi sempre considera i nostri figli solo un problema da affrontare tendiamo ad essere iperprotettivi, quasi sempre sbagliando. Ma credo sia sempre bene prima di dare giudizi mettersi nelle scarpe delle persone, e fare qualche passo con loro: per questo invito chi ha del tempo da dedicare ad incontrare i nostri meravigliosi ragazzi, le nostre famiglie e la nostra associazione.
Termino con le parole che un bambino Asperger di dieci anni, Benjamin, ha scritto in una poesia diventata virale sui social: “Io tocco le stelle, ma non riesco a trovare il mio posto nel mondo”. Impariamo tutti noi cosiddetti neurotipici a guardare le stelle insieme a Benjamin, e con i suoi occhi costruiamogli un posto nel mondo.
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