di Massimo Daviddi –
‘Microcosmi’, si porta verso la realtà dei circoli: quelli legati ai paesi d’origine o nati dal movimento operaio; i ricreativi e culturali, ognuno con un profilo diverso e l’idea comune di stare insieme. Il secolo delle migrazioni, i nuovi insediamenti urbani, la sofferenza per il distacco dalla propria terra, rafforzavano la volontà di appartenere a un gruppo, saldando passato e presente. Nella società contemporanea, eterogenea, la funzione cerniera dei circoli è ancora attuale? La domanda resta aperta: tuttavia, proprio perché la frammentazione della nostra vita, del lavoro, la dispersione sociale, ci allontanano sempre più, sentiamo l’esigenza di modalità di incontro vissute senza frenesia.
Circolo Trentino del Cantone Ticino.
Dopo il circolo sardo di Lugano, ‘Sa Berritta’ e l’incontro con la presidente, Luana Lampis, ci spostiamo al Nord in un viaggio che va dal mare alla montagna. Cambiano usanze, costumi, ma nelle parole di chi è responsabile di queste realtà si sente un comune impegno. In un ristorante di Lugano, incontro il presidente storico del ‘Circolo Trentini In Ticino’, Riccardo Sperandio, insieme all’attuale, Gianni Busacchi, che da oltre vent’anni ha preso il testimone. Un’ ottantina i soci e parliamo della storia, del presente, delle attività che dal 1980 animano il circolo. Il primo, carriera come tecnico progettista nei cantieri è di Canal San Bovo, comune immerso nella verde Valle del Vanoi; il secondo, già dirigente in una grande azienda, è di Rovereto, sede del prestigioso Museo d’arte moderna e contemporanea progettato dall’architetto Mario Botta. Sono gli estremi di una regione ricca di vallate, laghi, fiumi.
Verso la fine dell’intervista, alla domanda sul carattere dei trentini, parlano di una certa affinità con quello dei ticinesi, essendo un po’ ‘bastian contrari’, attaccati alla loro terra, alla sua valorizzazione, partendo da condizioni storicamente difficili. Come e perché, nasce il vostro Circolo? “Bisogna fare una premessa, precisa Sperandio; nel 1960 si è costituita l’Associazione Trentini nel Mondo, fondata dal dottor Bruno Fronza in collaborazione con la Provincia, l’Arcivescovado e diversi comuni. Lo scopo principale era assistere gli emigrati trentini a quei tempi numerosi; emigranti che si erano spinti fino all’America del Sud, ma prima di tutto in Austria, Germania, Svizzera. Paesi dove la gente pensava di vivere un po’ meglio che dalle nostre parti perché c’era molta miseria, come del resto in altre regioni italiane. Un’avventura a volte finita bene, altre no”. All’inizio del percorso, c’è stata qualche figura di rilievo? “Si’. Due missionari che si occupavano di emigrazione. Uno, don Dino Ferrando, l’altro don Carlo De Vecchi: don Dino operava a Lugano, don Carlo a Locarno”. Dove si attuava questa missione? “Soprattutto nei cantieri di alta montagna, piuttosto isolati. Andavano a proiettare film, dire messa.
In uno di questi lavoravo come dirigente e un giorno don Dino mi dice: Riccardo, cosa pensi se mettiamo su un circolo? Eravamo alla fine degli anni ’70, così ci siamo trovati con un gruppo di trentini per cercare di organizzare il tutto, collaborando con il Consolato. Un fenomeno in crescita, che coinvolgeva diverse regioni italiane”. Com’è andata? “Un po’ di preoccupazione iniziale l’avevamo; la ricerca, gli inviti, gli annunci sui giornali. Una forte emozione: quanti verranno? Bene, sono arrivati in centocinquanta, di tutte le generazioni, raggiunti dal presidente dell’Associazione Trentini nel Mondo, appunto Bruno Fronza, che oggi passa i novant’anni; ancora attivo, ogni mattina va nel suo ufficio”. Seguono l’assemblea costituente, le iscrizioni, insomma il Circolo prende il largo contando fino centrotrenta iscritti, da Airolo a Chiasso.
Le iniziative? “Culturali e ricreative. La prima nel 1982, con la commemorazione del centenario di Alcide De Gasperi; tra gli intervenuti l’Onorevole Jelmini del Gran Consiglio Ticinese”. Sperandio, sottolinea la qualità degli incontri. “Dai prestigiosi cori, ai gruppi folkloristici; dalla filodrammatica ‘Armonia’, al circolo di poesia in lingua dialettale, coordinato da Fabrizio Da Trieste. Sempre stando nell’ambito della poesia, prezioso l’apporto del professor Luciano Marconi che ha insegnato al liceo di Lugano e che ha lavorato per la RSI. L’entusiasmo non mancava”. Gianni Busacchi, prende le redini del Circolo a metà anni ’90. “Vengo dal commercio, ero impegnato nel campo professionale e non avevo contatti con i trentini. Conoscendo Riccardo e le attività del Circolo ne ho apprezzato i contenuti e dopo un anno sono diventato presidente. Lo sono ancora non perché sono il migliore, ma perché non ne troviamo altri…”.
Un angelo.
“Per questioni di età, continua il presidente, anno dopo anno ci troviamo con qualche socio in meno e il ricambio non è facile”. Le ragioni? “Le prime migrazioni, interviene Sperandio, sono state molto dure, erano gli anni di Schwarzenbach, per cui i circoli nascevano per dare aiuto, sostenere le persone. In certi casi, la nostra Provincia organizzava dei rientri a chi perdeva il lavoro. Abbiamo poi scoperto che dei trentini erano venuti qui dopo la grande guerra: andavano a falciare i prati o a fare i boscaioli su per la Leventina”. Realtà oggi difficili da immaginare, salvo cambiare scenario. “Dormivano in baracche con letti a castello, se andava bene, dice Busacchi. Nel 1955, il primo circolo a Sciaffusa che anticipa di qualche anno l’Associazione dei Trentini nel Mondo. Una cosa che parla da sola”. Le nuove generazioni? “Si sentono pienamente ticinesi, anche se noi cerchiamo di sensibilizzarli perché le radici sono importanti”.
Al ‘Circolo Trentini In Ticino’, partecipano cittadini ticinesi e svizzeri tedeschi. Le attività vanno da incontri culturali, gite in Italia, passeggiate nel territorio. Non manca la cucina e a Primavera una festa con crauti nostrani e patate. Quando a diciotto anni Busacchi lascia Rovereto per andare a Zurigo alla ricerca di lavoro, fuori dalla stazione trova un bar dove mangiare qualcosa. “A un certo punto un signore mi fissa e in perfetto italiano chiede se avevo un lavoro. Cosa sa fare? dice. Ho fatto la scuola tecnica. Allora mi dà un biglietto con l’indirizzo di una fabbrica. Ci vado, vengo assunto, inizio a lavorare con grande impegno”. Il ricordo, con un po’ di emozione si ferma su Robert Bürgisser, imprenditore decisivo per la sua carriera professionale. Ma quel misterioso signore, che era turco, non l’ha più trovato: “per me, un angelo”. Come nel film di Wim Wenders, ogni tanto gli angeli scendono dal cielo, a un passo da noi.
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