Sabato 2 aprile 2016 a Cerro Maggiore (MI) presso la Casa della Divina Provvidenza in Via Cottolengo 1, alle ore 15.00 si terrà il convegno aperto a tutta la cittadinanza “Migranti e Profughi ci interpellano. Quali risposte?”. Il convegno è organizzato dalla locale sezione delle ACLI e vedrà la partecipazione di due esperti relatori. Quello che stiamo vivendo “Non è un film” come recita il brano musicale proposto in apertura al convegno. Il tema delle migrazioni sempre di più attuale ci tocca da vicino, è parte integrante della nostra attuale e complicata storia. Di seguito la toccante lettera di fra Ibrahim Alsabagh, francescano e parroco della cattedrale latina di Aleppo che in poche righe di testimonianza diretta, ci racconta perché i suoi concittadini che possono, fuggono disperati in cerca della pace, mentre per la maggior parte degli altri non rimane che una fragile ma vitale accoglienza nel convento di Soulaymanieh-Ram. – Diario Legnanese
Lettera di fra Ibrahim Alsabagh, parroco di Aleppo, inviata domenica 7 febbraio 2016.
Cari amici, provo a raccontare quello che stiamo vivendo ad Aleppo da quando è cominciata l’offensiva dell’esercito per riprendere la città. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, due missili lanciati dagli jihadisti hanno colpito la zona di Soulaymanieh-Ram, dove è collocato il nostro convento. Il risultato dei bombardamenti, incessanti, è sempre lo stesso: morte e distruzione di case.
Siamo scoraggiati, perché avevamo appena finito di riparare i danni dei missili caduti il 12 aprile 2015, quando sono arrivati queste nuove bombe, distruggendo nuovamente quello che abbiamo appena riparato. Noi frati siamo subito andati a visitare le case andate in frantumi, dove due uomini sono stati colpiti e uccisi e abbiamo ascoltato l’esperienza dolorosa delle mamme e dei padri di famiglie che ci raccontavano dell’accaduto e di come hanno vissuto, insieme ai loro figli, il terrore e lo spavento …
Il nostro convento infatti, accoglie le famiglie della zona, ma anche quelle di Midaan, che hanno cercato riparo dopo che la chiesa di Bicharat a Midaan è stata distrutta. Oltre all’accoglienza e al servizio umano e spirituale, si distribuisce l’acqua alla gente, dal pozzo che abbiamo dentro il convento.
I lanci di missili da parte dei gruppi jiahdisti, come risposta all’avanzata delle forze governative e dei loro alleati, è continuata anche la notte tra il 4 e il 5 febbraio. Ancora una volta, siamo stati colpiti al cuore. Le esplosioni hanno interessato il quartiere di Midaan, la zona a maggioranza cristiana. La distruzione è stata totale: i poveri rimasti sono nuovamente senza casa. Provate a immaginare cosa voglia dire stare qui mentre di notte cadono i missili. Senza sapere cosa accadrà.
Alcune famiglie hanno deciso di dormire al freddo all’entrata delle loro abitazioni, altri sulle scale. Noi però non ci arrendiamo! Siamo tribolati ma non schiacciati. In tantissimi bussano alla nostra porta terrorizzati, soprattutto le famiglie con i bambini piccoli. La maggior parte di loro non ce la fa a pensare di fuggire: non hanno neanche un soldino per il viaggio. Per me, in questa situazione, non restano che l’accoglienza e l’ascolto.
Dopodiché, bisogna passare subito all’azione: non si può rimandare all’indomani. Il lavoro però è immenso. Rimane il problema grandissimo dell’acqua: mentre i missili cadevano, era impressionante vedere la gente aggirarsi cercando l’acqua. Le persone sono disperate e sfidano i missili e la pioggia, pur di attingere acqua dai rubinetti installati lungo la strada, dove ci sono i pozzi.
Ormai, è da più di dieci giorni che siamo senza acqua. Una signora racconta che ormai le entrate mensili, per lei che ha ancora un lavoro e un’entrata fissa mensile, non permette oggi di acquistare un piatto di verdura giornaliero per tutto il mese. “Fino a quando, Signore, ti scorderai di me?” (cf. Sal 12)
“La maggior parte della gente non riesce nemmeno a pensare alla fuga: non ha soldi neanche per il cibo” (LaPresse)
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