di Rino Lattuada – Ognuno di noi nella propria vita ha periodi belli e periodi brutti, poi può capitare invece di vivere solo periodi brutti tutti concentrati. Per brutti intendo quelli in cui sempre più spesso viene a mancare la salute e ti trovi catapultato in uno spazio temporale dove tutto si dilata e la luce in fondo al tunnel è legata soprattutto alla speranza e alla forza d’animo di chi soffre. E qui inizia il terno al lotto di in che mani affidarsi. Non ho mai creduto al vecchio detto “se va tutto bene il medico è bravo, se va male non lo è”. Ci sono medici bravi e altri no.
Purtroppo siamo in una fase socio- economica, in cui se hai i soldi puoi scegliere la qualità delle cure, altrimenti prendi quello che lo stato ti concede e questo vale soprattutto per le persone anziane.
La mia esperienza personale inizia a gennaio di quest’anno con una frattura spontanea al femore con relativo ricovero al pronto soccorso dell’ospedale di Legnano, che si trova vicino a casa mia. Ho subito avuto la sensazione che il pronto soccorso sia ormai il posteggio dei vari reparti e anche uno dei luoghi di infezioni ospedaliere varie e ci si deve solo augurare di essere trasferiti in reparto al più presto (Allarme rosso per la mortalità causata dalle infezioni ospedaliere: si è passati dai 18.668 decessi del 2003 a 49.301 del 2016. L’Italia conta il 30% di tutte le morti per sepsi nei 28 Paesi Ue. Il dato emerge dal Rapporto Osservasalute 2018 presentato a Roma il 15/05/2019).
Purtroppo prima di andare in reparto io ho dovuto aspettare ben cinque giorni, nel frattempo mi viene diagnosticata una brutta infezione batterica nel sangue. Come e dove l’ho presa resterà sempre un mistero, anche se il beneficio del dubbio mi sia concesso …
Finalmente vengo trasferito in reparto e lì inizia il mio calvario, sia fisico che morale: intervento per il prelievo osseo; intervento per l’inserimento di una piastra, in seguito rivelatosi non risolutivo, nel frattempo si acuisce l’infezione, inizialmente sottovalutata (e di questo sono più che convinto); intervento per la rimozione della piastra perché inserita male e inserimento del primo tassello antibiotato. Un mese di “parcheggio” all’ospedale di Cuggiono, ritorno a Legnano per un ulteriore intervento per un nuovo tassello antibiotato e finalmente, dopo, la notizia della scomparsa dell’infezione, di seguito l’intervento definitivo con l’inserimento della protesi anca-femore, cosa avvenuta ai primi di giugno. Cinque interventi in 5 mesi e senza mai alzarsi dal letto mettono KO chiunque.
Ora mi trovo in una struttura riabilitativa della zona in cui dovrò rimanere per tornare a deambulare in maniera più vicina alla normalità, almeno altri 2-3 mesi.
In questi mesi di degenza, purtroppo, ho capito e toccato con mano come funziona l’ospedale detto “di eccellenza” del territorio legnanese. Sappiamo tutti che piano piano, senza che la maggior parte dei cittadini se ne accorgano, sia lo Stato che la Regione diminuiscono lentamente i fondi destinati alla sanità pubblica, chiudendo sui territori gli ospedali più piccoli, dopo averli depotenziati con la chiusura di interi reparti, con la riduzione di investimenti e di personale.
La maggior parte dei servizi è stata accentrata ormai nei grandi ospedali, come Legnano, in cui trovare posti letto liberi è diventata una lotta quotidiana. Ma in un ospedale così grande e strutturalmente nuovo è possibile che non vi siano spazi o reparti da utilizzare per creare nuovi posti letto? Tutto al risparmio e ciò porta anche al blocco di nuove assunzioni soprattutto nel comparto infermieristico e di assistenza, con conseguente scadimento della qualità dei servizi. Se sei fortunato te ne vai a casa presto, se no, come nel mio caso, continuano i guai e aumentano le sofferenze, anche psicologiche.
Quanti pazienti non più giovani, avrebbero bisogno anche di un supporto psicologico per stare un po’ meglio? Il reparto psichiatrico è una cosa, un supporto di sollievo settimanale in reparto è un’altra. A Legnano un servizio del genere, come altri, non esiste proprio, se non come è capitato a me, che, dopo ripetute richieste, ho avuto a che fare una sola volta con una psichiatra, per giunta non fissa, in ospedale, per avere qualche pillola calmante e per dormire e per un breve colloquio, abbastanza banale, con un psicologo, anche questo esterno all’ospedale. Poi il nulla.
Capisco le difficoltà in cui i medici ospedalieri sono costretti a lavorare, ma a mio parere che ci siano da parte loro delle buone e costanti relazioni e rapporti umani con il paziente, sono basilari per interagire bene con lui e la sua speranza di guarigione, ma obiettivamente questo non è molto diffuso. Purtroppo a me, come penso a tanti altri, questo non è capitato.
Voglio invece spezzare una lancia in favore del personale infermieristico e di assistenza, la cui la maggior parte lavora con impegno e dedizione, ma sono in grave sotto numero, con turni massacranti e mal pagati per un lavoro in cui bisogna anche avere tanta forza, passione, spirito di sacrificio e sempre un sorriso sulle labbra.
Riguardo al comparto medico, non è mia intenzione parlare male o criticare il tal medico o chirurgo, ma raccontare con questa mia esperienza che è quello che tante utenti e relativi parenti dell’ospedale legnanese vorrebbero raccontare ma che non fanno, facendo così apparire il funzionamento dell’ospedale molto più valido di quello che in effetti è.
“Eccellenza” è un termine importante, che al giorno d’oggi viene sempre di più usato con poca cognizione di causa, soprattutto se si parla di sanità: ricordiamocelo!
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