Il libro di Jennifer Worth, non è un libro ma un viaggio; un viaggio esperienziale nella Londra degli anni Cinquanta. Jennifer Worth scrive della sua vita, della vita dei quartieri più poveri di Londra, che ricordano la povertà narrata da Dickens a metà del XIX secolo. La scrittrice narra le sue esperienze di levatrice nelle Docklands, zona brulicante di lavoratori portuali e non e di famiglie povere e molto numerose stipate in case prive di qualsiasi necessità; è il quartiere più povero e malfamato di Londra, che verrà poi abbattuto da lì a poco. Ma insieme al quartiere molto altro sarebbe stato spazzato via come i modi di vivere, di sentire, di abitare le case. Scrive la Worth: «Tre cose hanno posto fine a tradizioni secolari: la chiusura dei docks, la demolizione degli slums e l’avvento della pillola. […] Verso la fine dei ’50 i nostri registri contavano dagli 80 ai 100 parti al mese. Nel 1963 il numero dei parti era calato a 4 o 5 al mese». È dunque un profondo mutamento sociale quello che Jennifer Worth descrive nel suo romanzo-diario. E lo fa in modo vivido, rispettoso, ma non drammatico. Con una creatività ingegnosa nella scrittura, si entra grazie a “Chiamate la levatrice” in un mondo che non rappresenta un auspicabile 1950, ma che invece ne incarna la speranza, la speranza che qualcosa sta cambiando, che il sistema stesso stia cambiando. Leggendo si viene trasportati in una realtà desolata impensabile ma che viene descritta con una voglia di verità quotidiana ma anche con una giusta allegria, con la fiducia che quella realtà stia per finire, senza rimpianti; e i cambiamenti radicali apportati dall’appena nato sistema sanitario nazionale è una tappa fondamentale di questo cambiamento.
Le famiglie che abitano le Docklands sono povere, le condizioni igieniche sono quasi nulle e le nascite sono molte numerose, ma i bambini nascono in casa perché l’ospedale viene visto come un luogo estraneo e pericoloso. Ed è in questa realtà che lavorano le levatrici di Nonnatus House, levatrici e infermiere qualificate, figure di fiducia e rispettate dalla comunità. Jenny, la protagonista, entra a far parte di questo ristretto gruppo di levatrici dal gran cuore che si occupano di famiglie bisognose seguendo le donne per tutto il periodo della gravidanza e dopo.
Si intrecciano storie di felicità pura per il nuovo arrivato a sgomento per la nascita di un figlio illegittimo di colore o dalle sembianze indiane, problemi di povertà assoluta dove il bambino viene strappato dall’amore materno senza il consenso della madre stessa. Tuttavia i bambini che nascono, in famiglie povere e numerosissime, sono sempre accolti con amore e gioia da almeno uno dei componenti della famiglia, e le giovani infermiere sono guardate con gratitudine e affetto. Queste ragazze imparano a confrontarsi con sporcizia e miseria estrema, con le malattie e la violenza, ma anche a scoprire sentimenti di solidarietà e amore inaspettati. Le levatrici di quartiere da infermiere qualificate, adempiono ad un compito superiore: si occupano della paziente non solo prestando cure e assistenza medica ma soprattutto sostegno sociale.
“Chiamate la levatrice” è un libro prezioso che lascia una traccia indelebile. Con una scrittura fluida, pulita e senza orpelli Jennifer Worth trasmette al lettore memoria e conoscenza di una realtà sociale in cui protagonisti ignari riprendono con dignità e umanità il loro posto nella storia anche se considerati ultimi nella scala sociale.
M. Marazzini e P. Ruggia
Jennifer Worth, “Chiamate la levatrice” Sellerio Ed. 2014 – 15,00 euro
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