di Massimo Daviddi –
Da qualche settimana dormo in studio, una scelta quasi obbligata dato che dalla nostra camera da letto a quella della figlia distano pochi metri e lei parla con amici e amiche, guarda programmi oltre la mezzanotte, a dir poco. E così, faccio fatica a dormire. Stare qui, circondato da libri e dalle foto che di giorno hanno un’altra prospettiva è come fare una vacanza. Quasi fosse una delle tante, molteplici volte che sono stato ospite a casa di qualcuno, in città diverse. Ricordo, a seconda degli spazi del momento, di essere passato da materassini volanti tipo mare a onesti divani, alcune volte a comodi letti di una camera non più abitata; un figlio che se ne era andato via, la suocera dell’amico tornata a casa sua dopo qualche mese di vacanza e certo, si diceva, era il momento giusto… Se nonostante tutto fatico a prendere sonno mi alzo, cerco un libro, lo sfoglio; sono stanco e leggo poco, ma a volte capita di trovare nel bel mezzo di una pagina un foglietto scritto anni prima. Un numero di telefono, un nome, lo sforzo di ricordare cosa ti dice a meno che appaia subito chiaro. I libri sono contenitori, forme vive di noi, teche, depositiamo là appunti, foglietti e loro li restituiscono a sorpresa; volevi rileggere La Storia della Morante e a pagina 94 trovi il nome di una ragazza che incontravi al lago, pensi a dove sarà, cosa farà, perché non hai continuato a frequentarla. Già, perché? Intanto in questi giorni guardare il cielo è come ritrovarne la profondità; meno luci, la limpidezza degli astri, l’idea kantiana di una morale in noi purché il cielo rimanga sopra, pulito. Il ricordo di quella notte di tanti anni fa, l’Apollo, l’allunaggio, l’idea di essere in grado di varcare i confini dello spazio. Dormire nella stessa casa in posti diversi è scoprire qualcosa di inatteso, allo stesso modo del bosco davanti a noi dove passeggi e a un tratto ecco un sentiero fino ad allora sconosciuto.
Lo prendi, ti metti in cammino e cerchi di capire, rifletti, ti fai prendere dalla natura. Ti perdi un po’, finalmente. Qualcuno verrà a cercarti o te la caverai da solo. Essere ospite in altre case è provare il desiderio di essere altro, di stare in un luogo diverso mai conosciuto prima, di esserci stato da sempre con un altro nome. Ricardo Reis? Abitare fuori dalla camera da letto, quella della tua casa, è una frontiera che solleva domande. Dall’idea di essere estraneo a quello che sembrava fino a ieri chiaro, definito, all’idea che prima o poi tutti ci separiamo, anche senza apparenti sofferenze. Oscilla il senso e tu con lui. Vedi, in fondo sei solo, eppure questa solitudine non è malvagia, anzi; senti una libertà crescere in te, per un attimo ricordi il monolocale dell’università, le feste, l’esame del giorno prima preparato bene e festeggiato con l’ottimo vino bianco dell’amico Giuseppe, diventato farmacista. Il tempo passa con lentezza. Alle 4.30, inizia il canto degli uccelli e qui i Merli la fanno da padrone; più tardi arrivano le Gazze, scuotono i rami, volano sopra le case. Fra qualche ora sarà il signor Luciano a ringraziare il giorno, nel grande orto di casa fa avanti e indietro senza sosta. Lavora, parla, semina. Vado sul balcone e mentre lui si gira, chiedo: “Luciano, ha dormito bene?”.
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