Di Redazione –
Pubblichiamo l’articolo sotto riportato con il proposito di suscitare una riflessione-discussione anche sulla condizione dei giovani di Legnano, in quanto riteniamo che a fronte di alcuni episodi di insofferenza sfociati in manifestazioni violente, la risposta data dalle Istituzioni sia stata improntata esclusivamente con azioni di ordine pubblico.
Siamo convinti del rispetto della legalità, ma se da una parte si chiede legalità e rispetto delle persone e delle cose, dall’altra bisogna individuare gli strumenti adeguati atti a governare, più che gestire, una condizione giovanile sempre più difficile e complicata.
La pandemia con le restrizioni per contrastarla ha provocato uno stato di notevole disagio generale, in particolare per i giovani che si sono trovati, in un sol colpo, con le scuole chiuse e la didattica a distanza, chiusi in casa e con spazi esterni inibiti. Come governare questa situazione? Come prevenire le escandescenze?
I ragazzi in particolare sono in cerca di spazi “liberi” per dare sfogo alle loro energie fisiche, mentali e relazionali. A Legnano, però, molti spazi pubblici e del privato sociale (convenzionati con l’amministrazione pubblica) sono inibiti o chiusi. Sono chiusi i campetti di calcio, quasi tutti presso gli oratori e sono inibiti i pochi campetti liberi pubblici, con interventi della Polizia Locale per impedirne l’uso, chiamata anche da anziani brontoloni e insofferenti. Mancano anche spazi per fare e sentire musica.
Eppure non ci vuole molto a capire che parecchi di questi ragazzi vivono in case con spazi ristretti, magari con un nucleo famigliare numeroso e con scarsissime disponibilità economiche e che la loro tensione e la loro rabbia anche sociale, sempre più spesso trovano come unici canali di sfogo il disordine la violenza.
Pensiamo che un buon Comune debba mettere in campo adeguate risorse umane (protezione civile, assistenti civici, ecc.) ed economiche, sia per garantire spazi all’aperto, in sicurezza e con un utilizzo regolamentato per evitare assembramenti e sia di sostegno ai giovani per percorsi educativi e sociali.
Da San Siro il rap delle case popolari La generazione «perif» e la rabbia del quartiere-ghetto
I casermoni Aler, lo slang, il gangsta rap e gli insulti dei ragazzini agli «sbirri»: viaggio nel quartiere dopo gli assembramenti e gli scontri con le forze dell’ordine. «Qui, banlieue di Parigi o Marsiglia»
di Cesare Giuzzi – Corriere della Sera 12/04/2021
«Quando un ragazzo di periferia va in centro si sente a rischio come un ragazzo del centro che entra in un quartiere di periferia». Amine Ezzaroui ha 19 anni, è nato in Marocco e cresciuto «in cinque» in un bilocale di via Zamagna. Oggi è soprattutto Neima Ezza, rapper emergente di questo quartiere che somiglia tremendamente alle periferie di Parigi o Marsiglia. Alle banlieue dove si parla arabo con l’accento italiano. O meglio con quella cadenza «milanese delle perif» misto di slang meridionale, sillabe spezzate e accenti marcati. Una lingua che identifica chi vive oltre la circonvallazione esterna, negli agglomerati di case popolari e di edilizia a basso costo. Da Bonola al Corvetto, al Giambellino, da Rozzano a Cinisello.
Oggi Neima Ezza è (quasi) il pericolo pubblico numero uno dopo il «casino totale» di sabato pomeriggio quando ha radunato 300 ragazzini per girare il video di una canzone fregandosene delle norme anti contagio. E soprattutto dopo che, davanti all’intervento dei blindati di polizia e carabinieri, in strada è andata in scena una guerriglia urbana con lancio di sedie, bastoni, bottiglie e sassi contro le forze dell’ordine. Per disperdere i ragazzi, quasi tutti minorenni, la polizia ha dovuto sparare un lacrimogeno in mezzo a giovani in tuta e cappuccio in testa che urlavano «sbirri di m…» e «andatevene dal nostro quartiere».
Le indagini sulla «rivolta» di sabato procedono febbrili. Gli investigatori in questura stanno ricostruendo i due diversi episodi. La prima fase, in via Zamagna, con i ragazzi ammassati senza mascherine intorno ai rapper Neima e Baby gang (lecchese) e altri giovani che saltavano sulle auto in sosta. Per questo si sta valutando, oltre alla sanzione amministrativa per le norme anti Covid, anche l’ipotesi di reato di danneggiamento.
Poi c’è la seconda fase, quella della guerriglia dove invece l’indagine riguarda violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Gli investigatori sono al lavoro sui video delle telecamere di sorveglianza del quartiere ma anche sui numerosi filmati apparsi sui profili social dei rapper e dei loro amici. Gli stessi dai quali era partita, nei giorni scorsi, la chiamata generale per ritrovarsi sabato pomeriggio alle 16 in piazzale Selinunte per partecipare alle riprese del video. Tra le forze dell’ordine c’è una certa preoccupazione. Non tanto per l’episodio in sé, visto che già in occasione di altre riprese di video musicali s’erano verificati assembramenti e interventi di polizia e carabinieri, ma soprattutto perché la reazione dei giovani è stata violenta e numerosa.
In uno dei frame che circolano sui social si vede uno dei protagonisti urlare durante le riprese del video: «Oh ragazzi se arrivano gli sbirri nessuno scappa». E infatti così sarà alla comparsa in piazzale Selinunte delle squadre del reparto mobile con scudi e caschi. Se si sia trattato di un episodio isolato, o se invece la guerriglia di sabato nasconda il germe di un ben più serio problema con le periferie e i giovani, è presto per dirlo.
Che tutto abbia avuto come epicentro il quartiere Aler di San Siro non stupisce. Mentre Milano cresceva con Expo 2015 e il Comune disegnava ciclabili e piazze tattiche riqualificando molti quartieri, qui poco è cambiato. Le case, 6.135 alloggi popolari, sono state ristrutturate esternamente, ma il resto del quartiere vive in un degrado urbano, sociale e umano così pesante da apparire irrecuperabile. Sempre che a qualcuno interessi, perché la percezione in questa isola tra le case borghesi della Fiera e le ville dei ricchi di San Siro è che la questione interessi pochissimo al resto della città e all’amministrazione: «C’è gente che passa tutta la sua vita a cercare di uscire dal quartiere», diceva Neima Ezza in una video intervista a Rolling Stone sui rapper emergenti di Milano. Qui vivono più di 15 mila persone, 85 nazionalità diverse, ma la maggior parte sono magrebine. Un abitante su due delle case Aler è straniero. Il calcolo è per difetto. Le case vuote e mai ristrutturate sono un problema eternamente insoluto. La questione abitativa è la punta di un iceberg di marginalità sociale o anche di «semplice» difficoltà economica. A volte basterebbe poco per risollevare il destino di famiglie e ragazzi.
Alle quattro di pomeriggio di domenica in via Zamagna ci sono una quarantina di ragazzi e ragazze con tuta e borsello a tracolla. Una sorta di «divisa» per chi è cresciuto ascoltando il rap francese «duro» di Kalash criminel o Pnl. Roba tosta. Lo stesso odio per la polizia che si trova nei testi di Neima, Baby gang o di Rondo da Sosa. Ragazzi da migliaia di ascolti su Spotify in perenne bilico tra retorica gangsta rap (droga, soldi e sesso) e testi che invece raccontano la rabbia della vita in periferia. Di bilocali troppo stretti e natali con zero regali: «Lei che si mette il rossetto, sta sui marciapiedi/Italiani che vendono in piazza con arabi e neri/I ragazzi non parlano né a sbirri né a carabinieri/‘Sto posto non l’abbiamo scelto».
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