A cura di Giuseppe Marazzini –
“È saltata per aria la miniera del carbun.
Son finiti bruciacchiati, anneriti, asfissiati dal grisù.
Che cosa è successo?
Niente! Più di sessanta però son finiti all’aldilà”
(Il Bonzo, Fo-Jannacci).
Chi, questa estate, dovesse trovarsi nel grossetano faccia tappa a Ribolla.
Ribolla è una frazione del comune di Roccastrada con una popolazione di circa 2.500 abitanti. In paese c’è un interessante museo dedicato al parco minerario di Roccastrada-Ribolla e alla tragedia avvenuta a Ribolla nel 1954. Ribolla in origine era un borgo di minatori. Il monumento eretto a ricordo dei 43 minatori uccisi nella miniera si trova fuori dall’abitato. Il luogo, nel tempo, è stato circondato da un immenso vigneto.
La storia della miniera.
Dal 1894 al 1956 i minatori morti in miniera sono 157. All’appello mancano i minatori morti per silicosi e tbc.
Nel 1924 la Montecatini assume direttamente il controllo della miniera di Ribolla.
1925 – Nel febbraio uno scoppio di grisou uccide 5 operai.
1926-1930 – Nel dopoguerra la produzione di lignite comincia di nuovo a decrescere con il conseguente calo dell’occupazione.
1931 – Ribolla con i suoi 681 residenti diventa frazione di Roccastrada.
1935 – La Montecatini constata il fallimento della miniera di Ribolla, dalla quale non sussiste alcuna convenienza economica. Il 12 agosto per l’allagamento di un pozzo 14 minatori trovano la morte.
1936 – A Ribolla vengono iniziati i lavori per le nuove costruzioni nella zona della stazione: il dopolavoro aziendale, il cinema-teatro, la biblioteca, la mensa per 400 operai, lo spaccio aziendale e la nuova infermeria. La Montecatini gestisce la vita sociale del paese.
1939/1941 – Costruzione e consacrazione della chiesa parrocchiale dei SS. Barbara e Paolo.
1939/1945 -Primi anni della guerra nella miniera di Ribolla, la produzione di lignite cresce sensibilmente.
1945 – Il primo ottobre 11 minatori vengono uccisi a causa di una esplosione di grisou.
1947 – Nel momento di massima produzione, la Montecatini comincia la lente opera di dismissione della miniera. D’accordo coi sindacati, l’azienda comincia a licenziare o trasferire manodopera in altre sue miniere della zona.
1951 – Lotta dei cinque mesi. Gli operai di tutte le miniere maremmane scendono in sciopero contro il cottimo individuale. Le aziende proprietarie escono vincitrici dallo scontro.
1951/1952 – La coltivazione a franamento sostituisce il più sicuro ma dispendioso sistema della ripiena. Peggiorano le condizioni lavorative dei minatori.
1954 – Il mattino del 4 maggio due violente esplosioni devastano il Pozzo Camorra, provocando l’uccisione di 43 minatori.
1959 – La miniera viene chiusa.
Unità_tragedia Ribolla
La sciagura e l’inefficienza dei soccorsi.
Si seppe della sciagura la mattina del 4 maggio. Verso le 8 e mezza, vi fu un’esplosione nel pozzo Camorra, un’esplosione spaventosa. Con un boato sordo, fu vista uscire una gran nube di fumo dalla bocca del pozzo.
Le notizie che si diffusero subito erano vaghe e contradditorie, ma la gravità del disastro fu subito chiara a tutti. Le esperienze precedenti avevano insegnato che una esplosione in una miniera di lignite e in particolare in una miniera “difficile” come quella di Ribolla, assume sempre proporzioni tragiche.
La direzione della miniera non fu in grado di portare subito i primi soccorsi e neppure indicare che cosa si dovesse fare … Fino alle 10 non dette nemmeno l’ordine di abbandonare il lavoro negli altri cantieri.
Non c’erano autorespiratori a sufficienza e si dovette attendere il primo pomeriggio, che arrivassero quelli dei vigili del fuoco. Fu allora che le prime squadre cominciarono a organizzarsi con un certo metodo; anche dalle miniere vicine scesero gruppi di minatori, chiedendo essi stessi di partecipare al soccorso, ma non c’era lavoro per tutti.
La mattina del 7 maggio, mentre nella miniera si continuava a cercare, si fecero i funerali: 37 bare e altri due altri cadaveri attendevano di essere identificati e composti. Si precisava il numero delle vittime: 42. Tre erano ancora sepolti da una frana. La quarantatreesima vittima fu uno degli intossicati. Quando pareva essersi rimesso in salute, all’improvviso gli amici lo videro accasciarsi al suolo, morto.
I presunti colpevoli.
Nel giugno 1955 il Procuratore Generale della Repubblica di Firenze, dopo aver esaminato la perizia giudiziaria, spiccò un mandato a procedere contro sette persone. Al magistrato fu consegnato anche il memoriale della CGIL — che accusava la Società del disastro per l’adozione del sistema di coltivazione a franamento del tetto a fondo cieco e per la scarsa attenzione alla sicurezza sul lavoro — e l’inchiesta ministeriale, allegata ai fascicoli di quella giudiziaria.
Gli indagati furono: il direttore della miniera, il direttore generale del settore minerario della maremma di proprietà della Montecatini, il capo distretto minerario di Grosseto, il capo servizio a Ribolla, il sostituto del direttore il giorno del disastro, il capo servizio del pozzo Camorra, il direttore tecnico della Montecatini.
Il contesto sociale e la forza della Montecatini.
Le numerose pressioni psicologiche e politiche, da parte della Società e della chiesa locale, e le difficoltà economiche portarono progressivamente i familiari dei minatori uccisi dalle esplosioni ad abbandonare la lotta giudiziaria. Se il processo si fosse concluso con una condanna, la Montecatini avrebbe dovuto comunque risarcire i familiari. Tuttavia le vedove non potevano aspettare la fine del procedimento penale: avevano bisogno di denaro per sé e i propri figli e siccome la CGIL non aveva la possibilità di aiutarle subito economicamente, esse furono “costrette” ad accettare offerte in denaro della Società ritirandosi dalla parte civile.
L’inchiesta, il processo, la sentenza.
L’inchiesta giudiziaria terminò dopo quasi tre anni, nel marzo 1957, rinviando a giudizio sei imputati.
Il processo doveva svolgersi presso il tribunale di Grosseto, ma la Procura Generale chiese lo spostamento in altra sede per “legittima suspicione”, cioè il sospetto che l’opinione pubblica potesse influire sulla decisione del giudice penale.
Il processo fu spostato a Verona ed iniziò ad ottobre del 1958.
Nel frattempo la Montecatini era riuscita ad eliminare la parte civile (liquidata, presumibilmente, con 500 mila lire per ogni vedova e un milione di lire per ogni figlio), che avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo insieme alla pubblica accusa.
Al processo di Verona molto testimoniarono in modo diverso da come avevano dichiarato in un primo momento a Ribolla dopo l’esplosione.
Il processo si concluse il 26 novembre con l’assoluzione di tutti gli imputati per “non aver commesso il fatto” e quindi l’unica spiegazione del disastro fu: “mera fatalità”. Il Presidente del tribunale, Rodini, nelle valutazioni conclusive, affermò che era impossibile stabile la vera dinamica dell’esplosione e soprattutto individuare il luogo d’origine. E proprio questo era stato il nucleo centrale del processo da cui partire per stabilire le responsabilità.
Per il Tribunale Civile e Penale di Verona furono la fatalità ed il caso gli unici colpevoli della morte dei quarantatre minatori.
Alcune fotografie della tragedia.
Documentazione consultata:
Ribolla cronaca di una miniera, 2006. Comune di Roccastrada.
“Le Amiche della Miniera” di Ribolla -Presenze Femminili- di Barbara Solari, 2007. Comune di Roccastrada.
La miniera a memoria. Comune di Roccastrada 2004/2005.
I Minatori della Maremma di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola. Hestia edizioni 1995. Testo già editato da Laterza nel 1956.
Articoli dell’Unità dell’epoca.
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