Di Giuseppe Marazzini –
2 settembre 2023 – Dall’inizio dell’anno sono morti complessivamente 951 lavoratori, di questi 624 morti sui luoghi di lavoro (tutti registrati), gli altri sulle strade e in itinere e in altri ambiti lavorativi: per noi chiunque che muore mentre svolge un lavoro è considerato un morto sul lavoro, ci sono tutti anche chi ha un’assicurazione diversa da INAIL o che muore in nero … (Osservatorio Nazionale morti sul lavoro).
Ma nessuno di noi può dirsi innocente.
Marco Revelli – LA STAMPA 01 Settembre 2023
Ogni volta che una tragedia, atroce come quella di Brandizzo, squarcia il velo della nostra distratta quotidianità, ci si illude che lo scandalo delle morti sul lavoro abbia finalmente la priorità che meriterebbe in un Paese civile. E invece, consumatesi le brevi ore della cronaca, bruciate in poche ore le riserve di emozioni di una platea volubile, tutto ripiomba nell’indifferenza. Tutto torna come prima. Il lavoro, in particolare il lavoro manuale, quello più pericoloso e nocivo, torna ad essere un campo di battaglia avvolto dalla nebbia.
Qualche anno fa uno scrittore mai disimpegnato come Antonio Pascale, in un bel libro intitolato «Lavoro da morire», si era posto il problema di come ci si debba comportare davanti al dolore degli altri, alle immagini di una tragedia come era stata allora quella della ThyssenKrupp, o appunto come è oggi quella di Brandizzo. E aveva risposto che mentre tutto sommato si è elaborato un linguaggio adeguato per narrare l’evento dando accesso alla dimensione del luttuoso (pur con tutto il suo armamentario retorico: il dolore, le frasi fatte, i commenti macabri), al contrario ci mancano gli strumenti per gestire il «dopo», assicurare vicinanza ai feriti, consolare i sopravvissuti, soprattutto prendere provvedimenti per evitane il ripetersi. «Noi siamo un Paese che ama rimuovere – aveva detto -. Per un po’ di tempo non si parla d’altro, tutti i nostri politici dicono parole di cordoglio e fanno promesse… Poi invece il tema scompare del tutto e solo di tanto in tanto qualcuno ricorda. Siamo un popolo che preferisce il sentimentalismo al sentimento, la dichiarazione morbosa di intenti all’analisi del problema. E questo è il risultato».
Una cosa però si potrebbe fare. Non per emendarci dai nostri vizi atavici, che sono terribilmente coriacei, ma almeno per dare una ripulita al nostro modo di stare di fronte a tutto ciò, partendo da una cosa che almeno controlliamo come il linguaggio. E allora, per favore, smettiamola di parlare, a proposito della strage del lavoro, di «morti bianche» C’è una superba poesia di Carlo Soricelli, straordinaria figura di poeta operaio, scritta, anche questa, in occasione della strage della Thyssen, intitolata appunto Morti bianche, la quale recita: «Ma non è il bianco dell’innocenza/ non è il bianco della purezza/ non è il bianco candido di una nevicata in montagna/… È un bianco che copre le nostre coscienze/ e il corpo martoriato di un lavoratore/… Bianco ipocrita che copre sangue rosso/ e il nero sporco di una democrazia per pochi».
Perché l’espressione morte bianca evoca l’immagine di un esodo incruento, di una morte senza spargimento di sangue, in qualche misura una morte “senza autore” come le morti per assideramento (l’espressione nacque appunto per descrivere in guerra i morti congelati uccisi dal freddo e non dal nemico). E invece queste sono morti spaventosamente cruente, con corpi dilaniati, bruciati, schiacciati. E con responsabilità spesso taciute, inconfessate e inconfessabili, quasi mai seguite da sanzioni adeguate (nessuna tragedia, né quella della Thyssen, né quella dell’Eternit, né quelle, seriali, dell’Ilva di Taranto hanno visto i rispettivi processi concludersi con condanne men che simboliche).
Forse dovremmo definirle «crimini di pace», come è stato suggerito. Morti che, per il loro numero, e per alcuni aspetti della catena di cause che le hanno provocate, sono simili a quelle dei conflitti bellici. Per i numeri: Carlo Soricelli, che dopo la pensione da metalmeccanico si è dedicato alla cura di un sito web – l’Osservatorio nazionale di Bologna il quale, unico in Italia, monitora tutti i morti sul lavoro dal 1° gennaio 2008 – calcola che da allora le vittime sfiorino le 20.000. E per le modalità: la Cgil piemontese, a commento della strage di Brandizzo, denuncia la pratica sempre più diffusa del subappalto, che disperde in catene eterogenee di subfornitura responsabilità e gradi di attenzione. In contesti organizzativi di quel tipo l’errore di comunicazione, su cui s’indaga in questo caso, è sempre in agguato. E poi ci sono i tempi sempre più stretti nella giostra delle committenze, che finiscono per coinvolgere lo stesso lavoratore nella sequenza di eventi che lo può distruggere, a cui si aggiunge il ricorso a tecnologie più attente al sistema delle cose che non agli uomini (i dispositivi di sicurezza delle Ferrovie, apprendiamo oggi, rilevano i movimenti dei treni ma non la presenza di persone sul loro percorso). Come in guerra, anche qui non si trova un unico responsabile ma un insieme sistemico di concause il cui esito finisce per essere letale. Eliminarne, o quantomeno ridurne, i crimini implicherebbe l’assunzione preliminare del valore della vita come prioritario, su orgoglio nazionale o profitto aziendale, vittoria di un esercito o successo di un’impresa.
Marco Revelli
Lascia un commento
Lasciaci il tuo parere!